Onorevoli Colleghi! - L'evoluzione normativa in materia di regolazione dell'attività degli enti territoriali (legge n. 142 del 1990, legge n. 81 del 1993, legge n. 127 del 1997, legge n. 265 del 1999 e, conclusivamente, testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000) ha profondamente modificato la regolazione dei poteri del sindaco (o presidente della provincia), del consiglio e della giunta. Si è passati da una concezione «consiglio-centrica», pensata per un sindaco eletto dal consiglio comunale, dal quale traeva la propria legittimazione politica, ad una «sindaco-centrica», nella quale si è concentrata nelle mani dell'organo di vertice, eletto dal popolo sulla base di un programma impegnativo, gran parte dei poteri, sia di iniziativa politica che esecutivi.
      Occorre riconoscere i risultati positivi conseguenti ad una maggiore rapidità dell'azione di governo, a fronte dell'assemblearismo paralizzante che ha caratterizzato i primi decenni di vita delle amministrazioni locali, a maggior ragione di fronte alla cresciuta autonomia e all'incremento delle competenze derivanti dalle recenti riforme istituzionali.
      Tuttavia è necessario anche riconoscere la validità delle osservazioni contra, volte ad impedire l'evoluzione dell'azione del sindaco (o presidente della provincia) verso forme «podestarili» e ad evitare lo svuotamento delle competenze dei consigli e dei poteri dei consiglieri.
      Sulla linea di tendenza al riequilibrio si è mossa la legge n. 265 del 1999, in particolare, demandando allo statuto l'individuazione delle modalità con le quali il

 

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consiglio partecipa all'individuazione, all'adeguamento e alla verifica delle linee di governo (elemento poi ripreso e sistematizzato nel testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000). D'altronde, è innegabile che l'attuale sistema tende ad affrontare in termini di riconoscimento e di garanzia la relazione dialettica che sostanzia il rapporto tra maggioranza ed opposizione (si vedano per tutte le statuizioni dell'articolo 44 del citato testo unico, in materia di diritti delle minoranze consiliari): riconoscimento che porterà probabilmente in un futuro più o meno immediato ad un complesso di regole che la dottrina più avveduta ha denominato «statuto delle opposizioni».
      Si tratta in sostanza di allocare in modo nuovo i poteri in capo ai vari organi, senza mortificarne la funzione, stante il fatto che l'articolazione interna delle competenze tra organi deve costituire «diretta attuazione di un più generale principio di responsabilità e di distinzione tra indirizzo, gestione e controllo all'interno delle pubbliche amministrazioni» (Consiglio di Stato, V sezione, sentenza n. 191 del 1998).
      Senza peraltro avere l'ambizione di sistematicità dottrinaria, la presente proposta di legge si inquadra in questa tendenza evolutiva, in base alla quale chi governa deve poter governare e chi è all'opposizione deve poter controllare, nella consapevolezza, da un lato, che la qualità di governo è spesso pungolata dalla qualità dell'opposizione, e dall'altro che la funzione di consigliere, svolta sul campo, ha evidenziato taluni limiti legati alle previsioni di legge. Le modifiche prospettate non incidono sul «fare» dell'esecutivo, quanto semmai sul suo eventuale «non fare»; si incrementa la dialettica consiliare al fine di rendere maggiormente conoscibili gli elementi in base ai quali si forma l'indirizzo politico; si sanzionano i comportamenti non rispettosi delle funzioni del consiglio; ma, d'altro canto, in relazione all'esercizio dell'attività di controllo, si sottolinea il senso di responsabilità con cui deve essere esercitata.
      Si prefigura, inoltre, una più incisiva partecipazione popolare, rendendo obbligatoria all'interno dello statuto del comune la previsione dell'istituto del referendum, da svolgersi quando lo richieda un adeguato numero di cittadini o un quarto dei componenti del consiglio comunale, garantendosi in tal modo la funzione delle minoranze in esso rappresentate.
      La proposta di legge consiste in un solo articolo, che al comma 1 modifica diversi articoli del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000:

          la lettera a) rende obbligatoria la previsione del referendum, quale strumento di partecipazione popolare, quando lo richieda un adeguato numero di cittadini o un quarto dei componenti del consiglio comunale;

          con la lettera b) si dimezza da venti a dieci giorni il termine per la convocazione del consiglio, quando lo richieda un quinto dei consiglieri e, per i comuni con oltre 15.000 abitanti e per le province, il sindaco o il presidente della provincia;

          la lettera c) estende tale disciplina anche ai comuni al di sotto dei 15.000 abitanti;

          la lettera d) amplia le competenze dei consiglieri: oltre infatti a definire gli indirizzi per la nomina dei rappresentanti del comune presso enti e istituzioni, si è prevista anche la possibilità di verifica della congruità dei requisiti dei candidati e la possibilità, disciplinata dallo statuto, di prevedere forme di partecipazione alle designazioni in oggetto. Infine si è introdotta la possibilità di sfiducia al singolo assessore, diversa dalla sfiducia al sindaco (o presidente della provincia) o alla giunta regolata dall'articolo 52 del testo unico. Si tratta di sfiducia personale e non politica;

          la lettera e) amplia i poteri di controllo dei singoli consiglieri, estendendoli all'attività contrattuale dell'ente e agli enti o aziende dipendenti dal comune o dalla provincia. Si tratta di previsioni che

 

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la dottrina già ritiene contenute nella normativa vigente, ma che si ritiene opportuno esplicitare. Si stabilisce inoltre che lo statuto possa determinare ulteriori casi di segretezza dei documenti, oltre a quelli già stabiliti dalle leggi vigenti in materia;

          con la lettera f) si introducono sanzioni, la cui determinazione è rinviata agli statuti, per gli assessori inadempienti rispetto agli obblighi di risposta ai documenti di sindacato ispettivo, presentati dal consigliere;

          la lettera g) introduce la possibilità di istituire commissioni consiliari di indagine sull'attività dell'amministrazione, con voto non a maggioranza assoluta (come ora previsto), ma a maggioranza semplice, al fine di consentire lo sviluppo del ruolo dell'opposizione. A contemperamento è previsto che la loro composizione deve rispecchiare la consistenza numerica dei gruppi consiliari;

          la lettera h) prevede che il sindaco o il presidente della provincia possono revocare uno o più assessori, dandone motivata comunicazione al consiglio;

          la lettera i) modifica il rapporto tra consiglio e giunta nel senso di incrementare la dialettica tra i due organi, nell'ambito della definizione dei diversi indirizzi e di rendiconto; gli interventi degli assessori dovranno essere maggiormente analitici, mentre si consente ai consiglieri di formulare osservazioni ricevendone risposta;

           la lettera l) prevede che gli statuti fissino i termini per la verifica dei requisiti dei candidati a rappresentare il comune presso enti o aziende;

           la lettera m) amplia il termine entro il quale il sindaco o il presidente della provincia deve provvedere alla nomina dei predetti rappresentanti dell'ente.

      In conclusione, le norme proposte non ledono i princìpi cardine della nuova disciplina che regola l'elezione diretta del sindaco; esse si limitano a garantire il ruolo essenziale dei consigli, che rischiano un effettivo depotenziamento a fronte dell'eccessivo rafforzamento degli esecutivi. Piuttosto occorre graduare il potere di controllo di questi ultimi, al fine di non ricadere nella precedente situazione di consociativismo e di contrattazione.
      Pertanto, come si è detto, si è ritenuta ammissibile la revoca di un singolo assessore da parte del consiglio.
      Quanto ai poteri del consiglio sulla verifica dei requisiti dei rappresentanti presso enti e società, anch'essa è stata ritenuta ammissibile, ma non fino al punto di subordinare la nomina al potere del consiglio, come accadeva precedentemente all'entrata in vigore della legge n. 81 del 1993. Pertanto, si prevede che per tali nomine il consiglio deve poter avere un lasso di tempo per verificare i requisiti dei candidati, decorso il quale si procede alla nomina. Anche qui la sanzione non può essere politica, non potendo il consiglio impedire la nomina.

 

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